Sono cittadino del più bel paese del mondo: la bellezza dell’a-politica

Pubblicato da Antonio Manzoni il

Forse la storia che vi sto per raccontare potrebbe essere intitolata “l’a-politica della bellezza”.

Anzi, meglio: “la bellezza dell’a-politica”.

Sì, perché il protagonista è uno dei più grandi navigatori solitari dello scorso secolo e, forse, della storia.

Un uomo che ha trascorso quasi tutta la vita in mezzo agli oceani, lontano miglia e miglia da ogni forma di civiltà e di vita organizzata.

Un uomo che, però, ha conosciuto la bellezza come pochi altri hanno potuto fare, assaggiando l’assoluta libertà e vivendo sulla pelle la natura, a volte placida a volte impetuosa, del mare e degli elementi.

Sto parlando di Bernard Moitessier.

Classe 1925, nato ad Hanoi, nell’Indocina francese, fin da bambino si imbarca nelle giunche dei pescatori e commercianti locali, acquisendo così un legame simbiotico col mare, un legame che durerà per tutta la sua vita.

 

Ma l’esperienza che forse più di tutte riesce a cogliere l’essenza di questo navigatore solitario, la storia che lo ha consacrato come uno dei velisti più puri della storia, ebbe luogo tra il 1968 e il 1969: la circumnavigazione del globo senza scalo e senza assistenza, ovviamente in solitaria.

Alla notizia che Moitessier e il suo amico Loick Fougeron si stavano accingendo a compiere una tale impresa, il Sunday Times ne approfittò per organizzare una vera e propria competizione in tal senso, affinchè potessero partecipare anche altri concorrenti.

La Golden Globe Race (venne chiamata così), prevedeva la partenza da qualsiasi porto inglese e ritorno nello stesso porto passando per i tre grandi Capi: Buona Speranza in Sud Africa, Leeuwin in Australia e Horn in Sud America.

Moitessier sente il “richiamo del largo” il 22 agosto 1968.

La partenza è da Plymouth.

La barca è il Joshua, un ketch in acciaio di appena 12 metri.

La barca è davvero spartana – gli alberi dell’imbarcazione sono dei pali del telegrafo! – ma è stata progettata e costruita da Moitessier stesso, che ha potuto così mettere in pratica tutti gli accorgimenti collezionati durante quarant’anni di esperienze in mare: dai materiali più adatti alle navigazioni alle alte latitudini alla forma della chiglia e dello scafo, dalla scelta delle vele a quali e quanti alimenti portare con sè, e molto altro.

L’impresa, considerate anche le poche tecnologie nautiche presenti all’epoca, è mastodontica ed estremamente pericolosa, nonostante la grande esperienza di tutti i partecipanti.

Moitessier all’inizio è titubante.

Non tanto per la grande fatica che lo aspetta, ma perché il suo animo di puro uomo di mare fatica ad accettare che la vela e il mare possano essere ridotti a una semplice competizione.

Per lui il mare è la stessa vita, e la vela il mezzo per confrontarsi con essa.

 

Tuttavia, alla fine accetta.

Fedele al suo spirito frugale e minimalista, a bordo del Joshua Moitessier non ha neppure l’apparecchiatura radio per comunicare la propria posizione durante il viaggio.

Per fare ciò, si serve di una semplice fionda.

Con essa scaglia dei bussolotti contenenti i suoi aggiornamenti sui ponti delle navi mercantili che incontra lungo il percorso, affinchè trasmettano loro i messaggi via radio alla BBC.

A bordo non c’è neanche il radar, il dissalatore, il pilota automatico o qualsivoglia apparecchio tecnologico.

Ci sono solo lui, il mare e gli dei…

Dammi vento e ti darò miglia!” canta la prua di Joshua mentre fende dolcemente le onde spinto dagli Alisei.

È questo il patto che il comandante ha stretto con la sua barca prima di partire.

 

Sul mare non ci sono strade o sentieri segnati dall’uomo.

Sul mare ci sono solo percorsi.

Che se vengono vissuti nella maniera giusta smettono di essere miglia nautiche o coordinate sulla carta, e iniziano invece a diventare veri e propri percorsi interiori.

Dove non importano le distanze, ma solo i piccoli punti dell’anima a cui si fa scalo, i piccoli punti interiori che non riusciamo più a distinguere perchè continuamente nascosti da tutte le inutili incombenze con cui riempiamo le nostre vite moderne.

Il percorso del navigatore solitario come Moitessier è quello di chi si trova faccia a faccia solo con se stesso, acquisendo piena consapevolezza di tutta l’estensione della propria anima, ma anche di tutti i suoi limiti.

Man mano che si spinge al largo, man mano che la scia del Joshua si srotola nel blu delle alte latitudini, il navigatore esce sempre di più dalla dimensione “civilizzata”, per entrare in un rapporto sempre più simbiotico con la natura sublime (nel vero senso romantico del termine) che lo circonda.

L’amicizia con lo stormo di uccelli d’alto mare, che ogni mattina accompagna Joshua nel suo cammino; l’aiuto di un branco di delfini, che si materializza magicamente a prua durante una difficile navigazione nella nebbia al largo della Tasmania per guidare la barca lontano dagli scogli affioranti…

 

Macinando miglia su miglia, Moitessier e Joshua diventano sempre di più un tutt’uno con l’universo blu e azzurro che li circonda.

Quasi come un gesto di liberazione dalla moderna civiltà, Moitessier getta in mare gran parte del cibo presente in cambusa, per la felicità dei suoi amici uccelli, ormai diventati fedeli compagni di viaggio.

La loro diffidenza è del tutto sparita, a tal punto che alcuni di essi si appoggiano sul suo ginocchio, facendosi accarezzare.

Vento, ottimismo e pace gonfiano le vele di Joshua nel suo lungo cammino.

Tuttavia, anche i momenti difficili non mancano: un incidente al largo di Capo Buona Speranza, le tempeste che alzano onde alte come palazzi fanno tremare la chiglia di Joshua… ma Moitessier non ha paura.

Nel cuore sa che gli dei del mare lo proteggono.

Sa come non farli arrabbiare, regalando loro completo rispetto e assoluta devozione.

 

Poi arriva febbraio del 1969.

Sono ormai passati sei mesi dalla partenza.

Joshua, fiaccato dalle miglia e la salsedine, ha da poco tempo superato quella che è forse la prova più difficile per un velista: Capo Horn e i venti impetuosi dei Quaranta Ruggenti e dei Cinquanta Urlanti.

Anche il pericolo di iceberg sommersi presenti nel sud dell’Atlantico in quella stagione è ormai scongiurato.

La stanchezza è enorme.

Moitessier è debole, dimagrito.

È stanco delle piogge fredde che sferzano con violenza sulla sua faccia.

Desidera soltanto sdraiarsi sulla tuga di Joshua ed essere inondato dal sole e dal tepore degli Alisei.

La prua è rivolta verso Nord, destinazione Plymouth.

Anche se non lo sa, dato il suo completo isolamento radiofonico, Moitessier è in testa alla regata, con parecchio distacco rispetto agli altri.

La vittoria è praticamente sua.

 

 

Ma poi, tutto ad un tratto, la svolta: il viaggio diventa la meta:

 

“Ho rimesso la prua verso il Pacifico…
Non ne posso più dei falsi dei dell’Occidente, sempre in agguato come ragni, che ci mangiano il fegato, ci succhiano il midollo. E sporgo querela contro il mondo moderno. Il mostro è lui. Distrugge la nostra terra, calpesta l’anima degli uomini…

Dio ha creato il mare e l’ha pitturato d’azzurro affinché sopra al mare si stia bene. E sono qui, in pace, con la prora puntata ad oriente, mentre potrei trovarmi a fare rotta a nord, con un dramma nell’intimo. Il tempo è bello, la scia si srotola dolcemente. Accoccolato a gambe incrociate nel pozzetto, guardo il mare ascoltando la nota cantata dalla prora. E vedo un piccolo gabbiano posato sul mio ginocchio…
Tutto è in ordine. Sento in me una gran pace, una gran forza. Sono libero. Libero come non lo sono mai stato. Unito a tutti e solo di fronte al destino.
Sono cittadino del più bel paese del mondo. Un paese dalle leggi dure e semplici, che non bara mai, immenso e senza frontiere, dove la vita scorrre al presente. In questo paese senza limite, in questo paese di vento, di luce e di pace, non c’è alcun Grande Capo che il mare.
Capo Horn è stato doppiato il 5 febbraio e siamo al 18 marzo. Continuo senza scalo verso le isole del Pacifico perchè in mare sono felice e forse anche per salvarmi l’anima…”

 

Così scrive nel suo diario di bordo, che verrà poi riportato nel romanzo La lunga rotta.

A seguito di questa svolta di percorso, Moitessier doppierà nuovamente Capo di Buona Speranza e Capo Leeuwin per arrivare, dopo altri cinque mesi, a Tahiti, nella Polinesia Francese.

È il 21 giugno 1969.

Sono passati ben undici mesi dalla partenza dal porto di Plymouth.

Undici mesi senza mai toccare terra, senza vedere anima umana.

Undici mesi con la sola compagnia del mare e dei suoi dei e di Joshua.

 

Moitessier continuerà a fare della vela la sua vita, finchè un cancro non se lo porterà via nel 1994.

Come si può intuire dai suoi racconti, fu un uomo decisamente peculiare nelle sue scelte di vita.

Non è esagerato dire che, forse, abbia trascorso più tempo galleggiando su una barca che con i piedi per terra.

Tuttavia, proprio per questo motivo le sue condanne all’eccessiva distruzione e deturpamento della natura sono particolarmente significative.

Come ci si accorge di quanto rapidamente un bambino cresca e cambi fisionomia solo quando lo si incontra di tanto in tanto, mentre non si riesce a distinguere il suo cambiamento quando lo si vede tutti i giorni, allo stesso modo Moitessier vede il mondo.

La sua è la voce di un outsider rispetto alla vita frenetica della modernità. E lancia un allarme: stiamo distruggendo il nostro pianeta a ritmi folli.

Negli ultimi capitoli de La lunga rotta Moitessier racconta del suo arrivo a Tahiti.

Dopo undici mesi negli oceani, e dopo pochi anni dal suo ultimo approdo in quest’isola della Polinesia Francese, nota come cemento, autostrade e costruzioni abbiano sostituito palme, spiagge e alberi secolari.

 

“Ancora un albero, due alberi, tre alberi…tutto un filare d’alberi. Affinché le automobili possano passare ben comode. Occorrono cento anni per fare un albero centenario che la ruspa gigante sradica in trenta secondi…

I lavori continuano. La distruzione continua. Con tutte le carte in regola. Ecco qual è la loro forza: le carte. La Legge. Il Diritto di devastare tutto. Fecero lo stesso, forse, i dinosauri, col loro ventre enorme e il loro cervello grosso come una nocciola…

La banchina di cemento davanti alla strada a cinque corsie è terminata. Surriscaldata, senza altra ombra eccetto di quella dei lampioni a doppio globo. Del cemento, del rosso, del nero. Niente verde. Dov’è andato a finire, il Consiglio dei Saggi d’un tempo?”.

 

OPERA ISPIRATRICE

Bernard Moitessier, La lunga rotta

 

Categorie: Bellezza

Antonio Manzoni

Musicista filosofo e giurista navigante. Si interessa della teoria e della pratica dei beni comuni.

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