Parole Guerriere in Calabria: per una politica della bellezza

Pubblicato da Salvatore Remorgida il

Ad una settimana dall’approdo di Parole Guerriere in Calabria, qualche appunto è rimasto sparso sulla mia scrivania. Sono post-it di viaggio, come li definisco amorevolmente: hanno cura di non farmi mancare all’appuntamento con la scrittura, che è un viaggio verso idee e persone.

Marco Guzzi, Domenico Giannino, Dalila Nesci: da qualche loro frase, ho preso spunto per riflessioni sparse.

“Quale cambiamento” è il tema dell’incontro. E mi viene in mente una certa cultura dell’ossimoro, quella dell’inconciliabilità delle parole cambiamento e Calabria, che ha richiamato Domenico Giannino usando quel “su tutti i stessi”. È la stessa cultura che ti impone schemi mentali per cui non poter ambire ad una società diversa, nella terra degli incendiari di giorno e pompieri di notte. “Quale cambiamento”, allora, è una domanda che supera la dimensione elettorale, non la sfiora neppure, e non può fare altrimenti: cambiamento, in Calabria, deve essere, ancor prima, consapevolezza dei diritti e dei doveri, una nuova logica di impegno e di scommessa su sé stessi innanzitutto, perché non sia dominante più quella del diritto-elemosina in tempo di voti. E verrà da solo, quindi, il rinsaldare la coesione d’un popolo che, con troppe guide (che è un modo elegante per non dir capobastone) e pochi diritti, facilmente si sfalda in egoismi puerili, smarrendo il senso profondo dell’esser comunità. Bene fa Domenico Giannino quando dice “Parole Guerriere vuole contribuire a creare una comunità di pensiero allo scopo di alimentare una rivoluzione politica: permanente, democratica, pacifica e gioiosa”. Solo resettando ogni logica di pensiero cui il calabrese medio è stato abituato, smentendo luoghi comuni con la forza dell’esempio, proponendo prospettive culturali nuove e, muovendo da esse, prospettive economiche, produttive, energetiche: solo partendo da tutto ciò, forse, potranno aprirsi tempi per nuove rappresentanze politiche. Solo al culmine di una maturazione che, speriamo, Parole Guerriere possa aver seminato, potremmo sperare che non ci si distribuisca più le poltrone per pacchetti di voti, ma si voti un’idea di società.

Allora difficilmente immaginiamo un uomo della Provvidenza, come quelli che ci vendono in tv, tanto fotogenici quanto senza alcuna intima cultura (“La cultura è tutto, non è qualcosa. La cultura è la politica. Una politica che non abbia un pensiero si sgonfia dopo poco” [Marco Guzzi]). Ci riesce, piuttosto, più semplice immaginare una comunità delle utopie, anche piccola inizialmente, che possa muovere, prendendo le distanze da una realtà che non soddisfa più, staccandosene ed osservandola da lontano, per capire in che direzione muove l’uomo ed indicargli una nuova via.

Per dirla con le parole di Domenico Giannino, “la politica deve parlare di idee, deve avere una chiara visione del futuro; deve cercare di dare risposte innovative alle grandi sfide della modernità. Perché sono queste sfide a determinare l’ampiezza dei nostri bisogni”. Ripromettersi di dare una nuova visione del mondo, è l’obiettivo che Parole Guerriere si propone. E per fa sì che possa essere quella più corretta possibile, e perché possa avere l’opportunità di esser seguita da più gente possibile, non ha alcun senso trincerarsi dietro a concetti superati dal corso degli eventi, regole che isolano azzerando la condivisione con comunità esterne e civiche. Sembra questo il nuovo passo dettato, ed abbiamo visto le istanze di qualche attivista, in tal senso, ad una nuova politica grillina delle alleanze.

Traggo, infine, spunto da Dalila Nesci, nel prendere in esempio il Contratto di Governo, capace di riportare la Politica allo stato di mediazione, che non può prescindere da una valutazione più profonda dei bisogni. Ed allora, quasi ad intenderlo, con le dovute proporzioni, simile ad un moderno contratto sociale, torna ad essere necessaria la presenza, fra i contraenti, di una forza rivoluzionaria, capace di muovere verso le conclusioni da punti di partenza diversi da quelli dei partiti del sistema dominante.

Del Movimento 5 Stelle, allora, resta la funzione chiave di costituirsi come strumento, mezzo del pensiero guerriero che tende al fine ideale, più nobile dell’amministrazione, ancor peggio se ordinaria, di radicalmente invertire una cultura di mondo che non è più capace di mettere l’individuo al centro, e non prima il sistema. Un nuovo Umanesimo, che riporti l’attenzione sull’uomo. E non è un esercizio di stile, la ricerca di una via nuova: è la rivoluzione culturale, il cambio del filtro attraverso cui percepiamo noi stessi nel mondo, finora tendente all’autocommiserazione, e che porterà l’uomo a riconoscersi intraprendente e non destinato alla sopraffazione.

Perché o una forza di rottura è cambiamento di ogni paradigma, o è restaurazione. Sta qui, la chiave di volta per distinguer allora il giallo dal verde, colori parenti (lontani) ma non certo al punto da poter esser confusi.


Salvatore Remorgida

Meridionale, osservatore critico per passione, studente in Giurisprudenza. Curriculum Vitae et Studiorum

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