Com’è che non riesci più a volare? Il capitalismo e le vite degli altri.
Ognuno vive il periodo storico che gli tocca. Un po’ come la famiglia: non la scegli, ti tocca. È una questione di fortuna nulla più!
C’è una cosa che accomuna le vite delle ultime tre o quattro generazioni nei paesi occidentali: con diverse sfumature hanno vissuto l’era del capitale. Più o meno liberista, più o meno selvaggio, più o meno di successo, ma pur sempre capitalismo.
Dal punto di vista politico ed economico si può discutere all’infinito sul significato del termine. C’è chi lo vede con il fumo agli occhi, c’è chi ne parla come la panacea di tutti i mali. Gli impatti sociali di tale sistema di produzione – sia positivi che negativi – sono stati studiati approfonditamente.
Le risposte non sono mai univoche, dipende dal punto di vista. L’esperienza ci insegna che la scientificità su tali temi va a farsi benedire: è una questione di pancia, di fazione di appartenenza.
È una questione di pancia, di emozioni, di sensazioni vissute in prima persona. Perché, volente o nolente, il sistema in cui viviamo condiziona la nostra vita.
Cambia te stesso per cambiare il sistema, dicono alcuni. Sarà così? Nella maggior parte dei casi si tratta di baggianate new age con nessuna consapevolezza teorica. Meno guru, più Guénon!
Mi sto perdendo, come spesso mi capita!
Torniamo alla vita. Alla vita vissuta nell’era del neoliberismo e dell’iperconnessione. Che ne è della vita degli altri? (E forse anche della nostra). Lavoro, comunicazione, solidarietà, amore, come funzionano?
Facciamoci guidare da De Andrè e De Gregori che di vite hanno scritto abbondantemente e sicuramente meglio di me.
“Coi i tuoi santi sempre pronti a benedire i tuoi sforzi per il pane”
Lavoriamo, guadagniamo (abbastanza ma non troppo), spendiamo (troppo in cose inutili).
L’etica del dover lavorare, per poi comprare quello che produciamo in abbondanza, ci viene trasmessa fin da quando siamo in fasce. Famiglia, scuola, lavoro, politica, religione sono tutti d’accordo nel benedire i nostri sforzi (per alcuni inumani) per garantirci la pagnotta.
Il sistema funziona così. La ‘naturalizzazione’ di ciò che naturale non è: vivere per lavorare, invece di lavorare per vivere.
Quante volte vi siete sentiti dire: “devi ritenerti fortunato per avere un lavoro”.
Che poi ci faccia schifo, a chi importa?
Che poi non abbia alcuna ricaduta positiva sulla società in cui viviamo (anzi a volte il contrario). Poco Male!
Lavora e contribuisci anche tu al grande luna park globale!
“Con le tue finestre aperte sulla strada e gli occhi chiusi sulla gente”
“…col permesso di trasmettere e il divieto di parlare…”
Come comunichiamo con il mondo?
Fate un esperimento. Aprite Facebook e contate con quanti dei vostri ‘amici’ virtuali avete scambiato idee nell’ultimo anno.
Pensate a quanto ci stiamo disabituando alla comunicazione face-to-face.
Le cose serie si dicono di persone, faccia a faccia. Il resto è una vetrina sul mondo, virtuale come il mezzo che la trasmette.
Condividere un post/idea – di cui spesso si sa poco o nulla – significa trasmetterla e non con/dividerla (dividerla con gli altri).
Il dividere con gli altri implica l’interazione fisica. Il con/dividere, e non il condividere, implica il pensiero. Attività, tra l’altro, altamente sconsigliata per chi non è abituato
“Con il tuo francescanesimo a puntate e la tua dolce consistenza”
L’indignazione a tempo. Accade qualcosa di tragico e parte la gara di solidarietà. Raccolta fondi; maratone televisive; la corsa dei politici per mostrarsi preoccupati sul luogo dell’accaduto.
Ingegneri, geologi, medici, avvocati della domenica a commentare abbondantemente sui social.
Tutto questo a tempo, fin quando fa notizia. Poi ci si ferma, fino alla prossima tragedia naturalmente.
“… e una bella addormentata che si sveglia a tutto quello che le regali…”
La vita corre veloce e dinamica. E correndo, si sa, quello che ci passa accanto è sfumato, poco chiaro, intellegibile. Questo vale per le cose come per le persone.
Ho pensato a lungo a cosa scrivere sull’amore.
Poi mi sono ricordato che ci aveva già pensato Bauman.
“Nel mondo liquido-moderno la solidità delle cose, così come la solidità dei rapporti umani, tende a essere considerata male, come una minaccia: dopotutto, qualsiasi giuramento di fedeltà e ogni impegno a lungo termine (per non parlare di quelli a tempo indeterminato) sembrano annunciare un futuro gravato da obblighi che limitano la libertà di movimento e riducono la capacità di accettare le opportunità nuove e ancora sconosciute che (inevitabilmente) si presenteranno. La prospettiva di trovarsi invischiati per l’intera durata della vita in qualcosa o in un rapporto non rinegoziabile ci appare decisamente ripugnante e spaventosa”.
OPERA ISPIRATRICE
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