L’indipendenza Catalana: che peccato!

Questo giusto per dire che non scrivo sulla Catalunya come un opinionista italiano qualsiasi a cui va di starnazzare sull’argomento. Scrivo da professionista, da giurista che conosce la Spagna, la sua cultura ed il suo ordinamento giuridico. Uno che ha vissuto a Barcellona, che conosce i suoi abitanti (catalani e non) e che ha partecipato anche a delle manifestazioni di piazza pro-indipendenza.

Le ultime notizie parlano di arresti di tutto il governo catalano e del leader dell’indipendenza, ormai l’ex presidente della Comunidad Autonoma in fuga in Belgio.

Che peccato! L’unico commento che mi viene in testa pensando a questa storia è: che peccato!

È molto difficile spiegare e commentare questo epilogo anche perché la storia dell’indipendentismo Catalano è lunga più di 100 anni e mi servirebbe ripercorrerla tutta. Ed è chiaro che a tutta prima, uno come me che ha letto a vent’anni L’unico e le sue proprietà di Max Stirner ha simpatia immediata e automatica per un “popolo” che vuole l’indipendenza dal potere centrale.

Ma

eh si, c’è un grosso anzi gigantesco MA.

Potrei, infatti, fare una disquisizione politica e giuridica su ogni passaggio, soprattutto sull’ultima escalation azionata dall’ultimo referendum. Quindi argomentare sui motivi del referendum e la sua illegittimità, sugli argomenti degli indipendentisti, sui contro-argomenti, sulla risposta del governo, sulla presa di posizione del Re, sulla dichiarazione di indipendenza, sull’attuazione dell’art. 155 della Costituzione Spagnola, sull’incapacità di dialogo fra istituzioni dello Stato, sulla totale mancanza di strategia politica di Puigdemont, sul regionalismo spagnolo ecc. ecc.

Quello che invece mi interessa analizzare di questa storia è il nostro modo di ragionare sulle questioni politiche. Questo ha molto a che fare con una modalità di essere umani che dobbiamo abbandonare e che definirei: vecchia, obsoleta, putrida, controproducente.

Come se la questione potesse essere posta con la domanda: sei contrario o favorevole all’indipendenza? Fanno bene a chiederla? Fa male lo Stato a negarla? Come se la questione fosse ancora una volta: guarda come sono fascisti gli agenti, in tenuta antisommossa mandati dal governo, che manganellano le persone che vogliono votare e guarda quanto sono brave e coraggiose queste persone che si ribellano e vogliono l’indipendenza contro il potere centrale. Davvero pensate che ce la possiamo cavare ANCORA con questo modo di affrontare le questioni? Con soluzioni out-out evidentemente paranoiche quindi patologiche?

Come scrisse Borges: “la verità non penetra in un intelletto ribelle” quindi vi prego, fermiamoci un attimo e pensiamo (se ne siamo capaci).

Le questioni sono complesse, tutte. La realtà in sé lo è. Figuriamoci una storia che dura da così tanto tempo che coinvolge: milioni di persone, questioni culturali profonde (come la lingua catalana), interessi economici vastissimi, interessi politici e di potere enormi.

Il popolo catalano che ha dimostrato una certa compattezza, una certa capacità organizzativa, un certo coraggio e anche una certa civiltà: ha fallito. Ha miseramente fallito. E il fallimento era largamente annunciato. Si sapeva. Lo sapevano tutti che andava a finire così. Con gli arresti e il commissariamento da parte dello stato centrale del governo catalano.

Ma la cosa interessante non è spiegarvi perché lo Stato centrale non poteva che comportarsi come si è comportato e tutte le ragioni sacrosante che ha nell’agire in questo modo. E guardate non serve essere giuristi: basta leggere la Costituzione, saper fare le addizioni e avere un minimo di buon senso e di memoria storica.

La cosa interessante è capire perché i Catalani Indipendentisti che sono pur sempre una minoranza (ma non è questo l’importante) nel fare quello che hanno fatto hanno allontanato di decenni il loro obbiettivo. Si sono fatti fregare. Dalla loro classe dirigente certamente ma soprattutto dal loro modo egoico-non relazionale di pensare.

Nessuna protesta, nessun movimento indipendentista o rivoluzionario, sia esso di re-distribuzione della ricchezza, sovranista, animalista, ambientalista o ecologista scalfirà di un soffio il potere se continua ad essere auto-referenziale.

In questo tempo la contestazione non può essere relegata ad una regione, a questioni economiche o meramente culturali. Le questioni, le proteste, le rivendicazioni o sono planetarie o riguardano tutta l’umanità, il nostro modo di agire quotidianamente, la nostra interiorità o non sono. O sono basate su valori quali relazione, il dialogo, l’empatia, la solidarietà, l’integrazione o non saranno niente.

Questa gente ha pensato che unendosi fra di loro, tra catalani, potevano vincere, andare da qualche parte. Ma andare dove e per fare cosa?

In questo mondo globalizzato, interconnesso, totalitario, talmente pazzo che per capirlo devi appenderti a testa in giù, pensavano di cavarsela istituendo la Repubblica de Catalunya. Senza una critica radicale all’Unione Europa, all’economia globale fondata sul debito, all’Occidente, al nostro modo di vivere, al nostro modo di pensare, di relazionarci col nostro corpo, con la nostra mente e con gli altri. Pensavano davvero che il fatto di essere davvero avanti come società (rispetto al resto d’Europa e del mondo) su questioni tipo l’educazione, la salute, la parità di genere, l’ecologia, la qualità della vita li potesse salvare? Che la soluzione, la panacea sarebbe stata la loro Repubblichetta avanzata ricca e finalmente totalmente catalana?

Problemi quali l’identità, l’identità culturale, le lingue ed i linguaggi, l’economia, la povertà e la ricchezza dei popoli, sono problemi planetari ormai.

Davvero significa non aver imparato niente dalla storia ma soprattutto non avere la capacità di leggere il tempo presente.

Dispiace e molto che un potenziale così importante di voglia popolare di consapevolezza sia andato così sprecato.

Dispiace perché ancora una volta si è dimostrato che quando le persone stanno insieme con un idea in comune possono sprigionare un’immensa energia capace di tracciare vie che prima pensavamo impossibili.

Purtroppo però si ricade sempre negli stessi errori. Da millenni, almeno tre quelli di cui abbiamo traccia scritta.

Adesso, ci vorranno decenni per ricucire le ferite sociali di questo atto miope della classe dirigente catalana. Quest’ultima per cecità e sospinta dalla solita hybris umana ha giocato con la vita di milioni di persone – ahimè illuse e anch’esse cieche –  senza avere un briciolo di idea di futuro dell’uomo sul pianeta.

Il futuro sarà probabilmente di piccole comunità davvero autarchiche. Sicuramente lo Stato Centrale, così come lo conosciamo, scomparirà ma non è questa la via. Non si possono cercare scorciatoie ed exit strategies egoistiche, neanche se si tratta dell’egoismo di un popolo.

Siamo tutti sulla stessa barca.

O ci si salva insieme o non ci si salva.